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Duran Duran

Duran Duran

La mia generazione è cresciuta con la musica dei Duran Duran come colonna sonora, spartendosi i fans con i rivali del tempo, i mitici Spandau Ballet. Si tratta di un genere molto orecchiabile che evidentemente riesce a far tendenza tra una fascia giovanile della popolazione mondiale, con fenomeni sociali annessi e connessi come i nostri ormai ex “paninari” degli anni ’80. I Duran Duran, nonostante per lunghi periodi siano stati presi di mira dalla critica musicale, hanno per più di 25 anni colorato la vita di milioni di fans in tutto il mondo con, dalla loro parte, il merito di essere sempre al passo coi tempi e di riuscire là dove molti gruppi musicali non sono riusciti, a decretare un nuovo successo a distanza di tanti anni dalla loro prima apparizione. Onore al merito!

Di seguito la Biografia dei Duran Duran e un articolo interessante di Filippo Gualtieri

Biografia Duran Duran

Nel 1978 il tastierista Nick Rhodes, DJ in un locale di Birmingham, e il chitarrista John Taylor, fondano un gruppo cui danno il nome di un personaggio del film “Barbarella”. A loro si uniscono inizialmente Stephen Duffy, cantante, e Simon Colley, bassista. Questi ultimi se ne vanno convinti che il gruppo “non sia abbastanza rock”, e il solo Duffy avrà una carriera solista degna di nota. Il nuovo cantante, l’ex Tv Eye Andy Wickett, porta con sè il batterista Roger Taylor. I quattro, realizzato un demo con il brano “Girls on film”, perdono Wickett, che forma i World Service. Nel 1980 viene ingaggiato come chitarrista Andy Taylor, e il suo omonimo John passa al basso.

Poco dopo il gruppo ingaggia come cantante, uno studente universitario di nome Simon Le Bon. Nel 1981 la EMI pubblica il loro singolo “Planet Earth”, che raggiunge il n.12 nelle charts. Ma è “Girls on film”, col video sexy diretto dagli ex 10cc Godley & Creme, a imporli: il primo album DURAN DURAN entra nelle charts, e ci passerà 118 settimane. Per il loro look e le atmosfere che, dopo il punk, ritornano al primo Bowie e ai Roxy Music, i Duran vengono catalogati come "new romantic" definizione che verrà estesa a Visage e Spandau Ballet.

In particolare, l’interesse per l’immagine li porta a fare amicizia con Andy Warhol, e a incaricare il giovane regista Russell Mulcahy di approfondire le potenzialità di un mezzo di espressione nascente, quello dei video musicali che la neonata Mtv sta proponendo in America. Il risultato è una serie di filmati esotici ed eleganti, realizzati tra Sri Lanka e Antigua, che accompagneranno i singoli successivi, spingendo l’album RIO in tutta Europa e, qualche mese dopo, anche negli Usa, dove ottiene il disco di platino. La scalata al successo è rapida: la Principessa Diana li indica come loro gruppo preferito, e sempre più spesso nei loro confronti si verificano scene di isteria che non si vedevano dai tempi dei Beatles.

Mentre il gruppo si gode il suo momento di “stardom” non disdegnando qualche eccesso, i critici affilano le armi contro di loro, identificando l’attenzione per il “look” con il culto dell’apparenza e il crescente “disimpegno” del nuovo decennio. L’ipotesi parrebbe avvalorata dal fatto che SEVEN AND THE RAGGED TIGER (fine ’83), inferiore all’album precedente, ha successo a prescindere dal suo valore. Nel 1984 Nile Rodgers degli Chic, con un abile remix, spinge le vendite del singolo “The reflex”, mentre il gruppo insiste sulla strada dei video con il minikolossal ARENA, film-concerto girato dal solito Mulcahy (futuro regista di “Highlander”), dal quale verranno ricavati un album dal vivo e il singolo “Wild boys”.

Quest’ultimo è portato al Festival di Sanremo del 1985, durante il quale la “Duranmania” raggiunge il suo apice in Italia - ma a fianco delle ragazzine osannanti, e dei “paninari” che si definiscono “Wild boys” cresce il fronte compatto di chi non li può soffrire. Un contributo in tal senso viene dato da un instant-book intitolato “Sposerò Simon Le Bon”, scritto da Clizia Gurrado, giovanissima figlia di un giornalista (e secondo alcune voci maligne, vero autore del libro), dal quale è ricavato un film di spettacolare stupidità. Intanto, lo stress spinge i cinque a cercare vie di fuga: quasi tutti si fidanzano o sposano (Roger con una ragazza italiana, Simon e John con notissime indossatrici), Nick pubblica un libro di foto computerizzate, Simon si dà alle avventure in barca a vela (rischiando di morire in alto mare), Andy comincia un album solista (con Steve Jones dei Sex Pistols) e nascono due gruppi paralleli: i Power Station (John, Andy, Robert Palmer e Tony Thompson, con la produzione di Bernard Edwards degli Chic) e gli Arcadia (Simon, Nick e Roger). Entrambi pubblicano un disco - SO RED THE ROSE dei secondi è quello che si comporta meglio, ma raggiunge solo il n.30 nel Regno Unito.

Il gruppo si ricompatta grazie al brano portante del film “A view to a kill”, della serie di James Bond. Un acuto particolarmente impegnativo contenuto nel pezzo tradirà Simon Le Bon durante il Live Aid di Philadelphia: la clamorosa “stecca” è un duro colpo per il gruppo, già poco stimato dagli addetti ai lavori. A fine anno Roger annuncia l’addio - a causa dello stress. Pochi mesi dopo, Andy non si presenta alle sessions per il nuovo album NOTORIOUS: col batterista nasce una guerra di carte bollate, che riduce il gruppo a un trio. L’album, nonostante l’intensa attività promozionale e il massacrante tour che nel 1987 li porta anche in sette stadi italiani (il più grande, quello di Milano) ha esiti commerciali deludenti - in patria raggiunge solo il n.7, in Italia è superato da “Through the barricades” dei rivali Spandau Ballet - peraltro, giunti al canto del cigno. Infatti, nel 1988 l’entusiasmo attorno ai pochi superstiti della “British invasion” di inizio decennio, è molto diminuito. L’album BIG THING, forse il loro disco più ambizioso dal punto di vista musicale, impallidisce in classifica rispetto a dischi come “Rattle and hum” degli U2 o il debutto di Tracy Chapman, emblemi del rifiuto dell’elettronica e del ritorno a una musica “da strada”. Quando nel 1990 esce LIBERTY, la “Duranmania” è finita.

Quasi non ci si accorge dell’entrata a pieno titolo nella band del batterista Sterling Campbell e del chitarrista Warren Cuccurullo (già con Frank Zappa e coi Missing Persons). Anche per questo, è con una certa sorpresa che il mondo decreta il successo di “Ordinary world”, singolo che nel 1993 traina THE WEDDING ALBUM. Purtroppo, durante il tour del ritorno, Simon accusa gravi problemi alle corde vocali. Nel 1995 viene pubblicato un album di “cover”, THANK YOU, che li vede affrontare - con un po’ di scandalo da parte dei “puristi”, “Perfect day” di Lou Reed o “911 is a joke” dei Public Enemy. Nel 1996 Simon canta “Ordinary world” accanto a Pavarotti, a Modena - nuova “stecca” in prima serata. Nel 1997 John Taylor annuncia la propria intenzione di lasciare i Duran. A fine anno esce - solo negli Usa e in Giappone - MEDAZZALAND. Il disco è un fallimento commerciale, tanto che il gruppo e la casa discografica non si preoccupano di pubblicarlo in Europa. Nel 1998 Le Bon, Rhodes e Cuccurullo si separano dalla EMI, e Campbell dai Duran Duran. Nel 2000 i tre pubblicano POP TRASH per la Hollywood Records.

Nel 2003 i Duran celebrano il loro venticinquesimo anniversario e la reunion della formazione originale, con una serie di concerti di grande successo, dall’America al Giappone, dall’Australia alla Nuova Zelanda. Nel 2004 esce per la Sony un nuovo album di inediti, ASTRONAUT.

Duran Duran
Quando si dice il destino. L'altro giorno mio padre dice di aver trovato uno scatolone di vecchia roba in cantina con su scritto '1986'. Lo apro e dentro ci trovo una serie di vecchia rumenta su vinile che credevo di aver perso per sempre: oltre a un paio di orrorifiche raccolte di James Taylor, Santana e cassette di Toto e Supertramp risalenti al 1980 o giù di lì (retaggi dello zio yuppie), anche Arena, Rio, Power Station, Arcadia, il primo album e Notorius. Dentro la scatola, oltre ai miei undici anni e ad alcuni bootleg-picture di valore inestimabile, anche due libri datati 1985 ed intitolati entrambi Duran Duran (uno di Enrico Bazzini, Forte Editore, l'altro di Gianluca Bassi, Hit Editore).

Da scompisciarsi dalle risate. L'ultimo best seller del migliore cabarettista di Zelig fa una pippa a questi due talenti dell'editoria musicale italiana anni '80, rispettivamente il Lester Bangs e il Robert Christgau nostrani. Quest'excursus sui Durans non sarebbe partito mai se Bassi e Bazzini non avessero dato il LA alla mia ispirazione vacante.

Dunque, era più o meno dal 1985 che non si parlava di nuovo così tanto dei Duran Duran. È appena uscito un box contenente tutti singoli in replica cartonata che s'è beccato subito un voto altissimo dalla stimatissima ezine Pitchfork, proprio mentre il revival degli '80 sta raggiungendo il suo punto massimo di non ritorno (vedi la ribalta di gruppi come The Faint e Radio 4) e i dj set europei ed americani sono sempre più orientati verso il recupero dell'electro dei primordi. A suggellare il tutto c'è anche la recente reunion della line-up originale con un nuovo disco già pronto da un paio d'anni, prodotto da Nile Rodgers ma ancora senza un'etichetta che abbia la voglia (il coraggio) di pubblicarlo.

Nessuno in questa stimata sede - tanto meno il sottoscritto - ha intenzione di rivalutare i Duran Duran, anche perché non si tratta di un gruppo sfigatissimo di straculto passato inosservato all'epoca, antesignano o precursore di qualcosa, relegato al culto di pochi esegeti della storia segreta del rock. No, qui si tratta di parafenomeni di paramassa. Il punto focale (e qui arriviamo finalmente) è che nessuno ha il coraggio di affermare che i primi due dischi erano due dischi fichi di new wave inglese come tanta dell'epoca: Ultravox, Gary Numan, Adam & The Ants e compagnia cantante, con la semplice differenza che i Durans spopolarono di brutto diventando l'ideale erotico di teenager brufolose ai primi bollori.

I Duran Duran sono come i giornaletti porno: la gente che dice di non comprarne poi ne ha la casa piena. Non dimentichiamoci anche del fatto che il gruppo ha ottenuto il successo planetario alla metà degli '80 proprio quando era già diventato il simulacro del gruppo pur mediocre ma al tempo stesso brillante degli esordi.

"Quello che ognuno di noi cerca è di dare al pubblico un'immagine del tutto rilassante. Il nostro gruppo non mira a disturbare alcuna categoria sociale. Noi siamo neutrali, non abbiamo compartimenti stagni. Ci sta bene il mondo intero purché sia fatto di serietà, pulizia e onestà"
- Simon Le Bon

Ascoltate il primo disco e ditemi: non è per caso meglio ad esempio degli Ultravox del periodo Midge Ure? Cos'ha da invidiare ai Japan di Gentlemen Take Polaroids? Forse la volgarizzazione di un pochismo stilistico, un'intellettualizzazione della posa o qualche collaborazione con Robert Fripp? Si tratta di classica new wave inglese danzabile con un occhio all'immensa classe dei Roxy Music, alle pacchianate synth del grande Gary Numan e alle ritmiche discotecare degli Chic (è chiaro che se questi nomi non vi dicono nulla vuol dire che di pop capite pochino, ragazzi!).
"Siamo fondamentalmente una dance band"
- Simon Le Bon
All'inizio i Duran Duran erano solo cinque pivelli di un paesino sfigato alla periferia di Birmingham con la passione per i capelli colorati, i pantaloni da tight e le camicie gran galà. Siamo intorno al 1978.

Simon Le Bon frequenta i corsi d'arte drammatica della scuola di recitazione, colleziona cinture, alleva piccioni, suona in gruppo punk stile '77 e va in giro a dire di essere il discendente di una dinastia di ugonotti. John Taylor (basso) e Nick Rhodes (tastiere) frequentano la stessa scuola d'arte. Il primo è un fan sfegatato degli Chic, adora i film di James Bond e beve spesso sambuca. Il secondo prende il suo nome d'arte dalle tastiere Rhodes, adora i gatti e le colazioni a base di fragole e champagne.

Roger Taylor, l'introverso, è stato il primo della band a sposarsi (con la napoletana Giovanna Cantone) proprio mentre la duran-mania stava raggiungendo il suo apice (un pazzo!). Pare che i suoi inizi da percussionista siano stati sul tavolo di casa, battendo il ritmo con i ferri da calza della madre. I suoi hobbies? Girare nudo per casa, dormire e collezionare automobili. Andy Taylor, il chitarrista, proviene da una famiglia povera di pescatori di Newcastle.

Sulla biografia del Bassi c'è scritto persino che "la sua casa era misera con tanto di gabinetto all'aperto" (!). Entra a far parte della band dopo aver letto un annuncio sul Melody Maker. Tra i suoi hobby c'è la cucina. Si dice che quando venne a Sanremo fece scorpacciate di ravioli, lasagne al forno, cannelloni e zuppa di pesce. È sposato con la parrucchiera del gruppo ed è anche un ottimo chitarrista, come testimoniano i suoi dischi solisti (hard rock nella tradizione degli Hanoi Rocks, provare per credere) e le sue collaborazioni con Rod Stewart.

"Ripensandoci ora, il look new-Romantic era davvero ridicolo. Noi lo abbiamo usato perché ci faceva comodo, ci ha aiutati a farci conoscere"
- Simon Le Bon

Certo che fu un'astuta mossa di marketing... Ma é il pop, ragazzi, e cosa dovremmo dire oggi allora, nel 2003, degli Strokes? È pop anche e soprattutto la copertina del secondo album: arte popolare post-warholiana al 100%. "Energico, fiero, gaio, entusiasta; qualcosa per cui si può letteralmente impazzire", scriveva Steve Sutherland del Melody Maker a proposito di Rio. La stessa rivista che qualche anno più tardi (ho le prove) si prenderà gioco del disco inserendolo nella lista dei "crimini e orrori del dopoguerra".

Ironia della sorte, il Melody Maker fallirà qualche anno dopo. Il disco è il vuoto, come gli anni in cui è stato concepito. Ma è indiscutibilmente fico e ha un suo perché. Non chiedetemi quale ma ce l'ha, esattamente come ce l'avevano Let's Dance di David Bowie e Avalon dei Roxy Music. Vogliamo parlare della title track? Di The Chauffeur? Di Save A Prayer? Per non parlare poi di Hungry Like A Wolf. La verità è che Rio è un album in grado di sofisticare l'avan-spettacolo. Nel suo piccolo, un piccolo capolavoro.

I problemi sorgono con il terzo, fatidico album, quel Seven And The Regged Tiger che sancirà la consacrazione mondiale del gruppo e al tempo stesso la sua fine. Per registrarlo la band è volata a Montserrat, nelle indie occidentali, in quegli Air Studios dove avevano già registrato Paul McCartney, Stevie Wonder e i Police. Si dice (attingo dalla biografia del Bassi) che il gruppo non non si sia trovato a suo agio nella tranquillità tropicale dell'isola, infastidito da insetti e lucertole giganti nonché dalla totale mancanza di vita notturna. Sembra che soltanto la session fotografica per la copertina sia costata duecentomila sterline (più di mezzo miliardo di vecchie lire!).

Un lavoro troppo spudoratamente artefatto in cui la maniera questa volta non riesce a nascondere quella carenza di talento sapientemente mascherata attraverso l'efficace citazionismo dei due dischi precedenti. Dopo arrivarono i tour trionfali, le ragazzine urlanti, Arena e le ridondanti affermazioni del NULLA. Wild Boys inventò il paninarismo e preparò il terreno agli scherni dei denigratori. Come non dimenticare il video future primitive in stile Mad Max in cui Simon Le Bon, legato alla ruota di un mulino, gira e canta con la testa che entra ed esce dall'acqua... Davvero troppo anche per il più glam dei glam. La musica non c'è più, rimangono le cronache da rotocalco rosa, i matrimoni con le fotomodelle e i party mondani. Nell'estate dell'85 la barca di Le Bon si ribalta nell'oceano. Lui e l'equipaggio si salvano grazie al provvido intervento dei soccorsi in elicottero. L'ultimo treno (o meglio nave) perso dal gruppo per entrare nell'Olimpo dei morti del rock. Hendrix annegato nel suo vomito, Lennon assassinato da un fan, Le Bon naufragato con il suo panfilo. Che fine yuppie sarebbe stata. Gli anni '80 sarebbero annegati lì con lui.

"Il bel dì è l'8 giugno del 1962. A Mosely, uno dei ritagli di Birmingham, nasce Nicholas James Bates. Bimbo vivace e d'inflessibile intuito, Nick ancora oggi ricorda quando mescolava le pietre alle patate della madre ed ha cultura per aggiungere: "Proprio per questo ho capito quanto Freud sia importante nella vita di ognuno di noi". Indiscutibile. Il Freud della fantasia orale, del resto, collegherebbe le patate alla mammella materna se non addirittura alla vagina".
- Estratto da: Duran Duran, Evoluzione Di Un Mito Musicale di Gianluca Bassi.

 

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